cerco ancora di mettere le immagini, non ci riesco... io ho bisogno anche di immagini
… e scrivo dalla
mia non appartenenza, vorrei chiedere a qualcuno di rendermi pubblico
ma non so chi ma non è neppure necessaro. Io che l’amarezza dei
giovani e rifiutati ascolto e rispecchio, e non sono nè giovane e
neppure sufficientemente all’apparenza rifiutato ma sono fuori, in
perpetuo ritardo (forse) e corro con fiato affannoso o forse non è
neppure così... tutto il gioco è apparenza. IO pure? Non viviamo
tutti nell'apparenza? PREMESSA di oggi, torino martedì 18 set 2012,
ma ora segue quello che scrivevo nel 2006 primavera
Io con una pratica
di cinema e di vita diversa rispetto a chi fa normalmente cinema,
vorrei pur io farmi sentire... non sapendo bene come nè a chi
indirizzarmi, già che non ho fiducia, nel caso mio, in chi di dovere
assolve i bisogni del cinema. Ma scrivendo dal fondo di me stesso che
è rinchiuso nel privato in contrasto a quelli che di questi tempi si
riconoscono e uniscono in manifesti che sono pubblici, io scrivo
maiuscolo VIVERE NONOSTANTE. Bisogna vivere nonostante.
È la cosa che per lo più mi torna come monito dai nostri giorni,
appello costante dal fondo del mondo di cui sappiamo solo che è nero
e senza nome nel suo mostrarsi duro e ostile con nome. Il faut
vivre, nonostante. Non ostante il sentirsi come io mi sento in
questo periodo storico, pubblico e privato, di merda. Però, devo
dirmi che però... qui fuori nel cortile giardino di queste case
borghesi di città sembra un miracolo gli uccelli sull’albero
parlano tra loro, tanti, noi umani diciamo che cinguettano felici ma
io so ben poco della felicità animale non essendo io ahimé no!
hèlas! il san francesco che parlava pure al lupo anche se ci ho
provato sui marciapiedi ma invano, niente! non è valso a niente il
mio accostarmi ai volatili come francesco il poverello d’assisi e
in città si tratta solo più di colombi che scagazzano scappando
davanti alle auto che arrivano, Beato fratello sole hélas! qui PARIS
giovedì 7-06-07 ore 19, mentre duecento metri oltre echeggiano i
gridi le voci alte di chi è rinchiuso nella Santé la prigione, a
quest’ora si fan sentire più forti quelli che stanno in galera.
Vivendo nonostante, io sono dunque ora costretto a constatare
la varietà della vita e del mondo che si sa son fatti di contrasti,
non per niente si è parlato di lotta di classe, non riesco a capire
quello che si dicono quelle voci gridate le ascoltava anche samuel
becket lui è vissuto qui di fianco a paris tutto il resto della vita
e ancora un po’ dopo che gli è morta la moglie ed è sepolto nel
cimitero qui dietro di montparnasse, non per niente en attendant
godot ha avuto la prima in una prigione. Bisogna dunque vivere
nonostante la merda che anche puzza, forse l’hanno detto pure
altri, forse molti oppure tutti ma qui sta il punto, in quel forse
che t’impedisce il sapere se sei solo tu o c’è anche altri o
molti o addirittura tutti. LA NON APPARTENENZA. Qui A PARIS io
proclamo (ma a chi?) la mia –ripeto- non appartenenza, ma ahimè
hélas la proclamo a me stesso e sottovoce che non si oda troppo,
disturberebbe e comunque mi prenderebbero per pazzo se la gridassi
forte affacciato alla finestra e mi chiuderebbero subito qua dietro
che c’è credo si chiami il sant’anna (se non mi confondo con
l’ospedale del tasso il torquato) che ha avuto ospiti illustri come
antonin artaud c’è ora proprio il viale col suo nome ma anche
altri che non ricordo. A PARIS trovi concentrato in poco spazio tutto
quello che per te è più illustre e commovente ed è uno dei
vantaggi di stare qui che ci ritrovi le ombre di tanti, tutti, dalla
dalidà che non canta più ma riposa (così si suol dire) nel
cimitero di montmartre e ci passi anche sopra addirittura con la
strada a sartre jean paul e de beauvoir in quello appunto di
montparnasse mi ci porta il marciapiede e guney il grande regista di
yol riposa al père lachaise proprio accanto all’ingresso me l’ha
detto osàn l’irriducibile, suo assistente per IL MURO,
indicandomelo mentre stavamo seduti al cafè curdo, io qui non grido
la mia non-appartenenza al contrario di chi sta alla santè e grida
dalle finestre con sbarre a qualcuno che sa che l’ascolta, io qui
non ho nessuno che mi ascolti e in più questa casa non ha sbarre, le
finestre sono addirittura porte finestre con ringhiera di bella e
fidata casa borghese dove comunque entrano i ladri a rubare i
computer depositari preziosi dei tuoi segreti. Grido dunque
sottovoce, sapendo di non appartenere ormai nè in quanto individuo
all’italia come stato e paese nè in quanto cineasta al cinema
italiano di oggi ma neppure di ieri, non gli sono mai per scelta e
vocazione mia natura appartenuto, avendo sempre avuto una pratica
diversa del cinema pur essendo anche arrivato a alcuni momenti di
coincidenza apparente con quella comune. Ma poi? Che succede poi dopo
che sei arrivato a quel momento di coincidenza? Appartengo però
forse a qualcuno. Oltre al VIVERE NON OSTANTE, sono di quelli
de l’APPARTENERE INVECE e cioè sento di appartenere come
vocazione all’italia dei semplici e poveri (come anna maria ortese
scrisse) e dei disgraziati di ovunque e che a torino in specie vanno
al mercato di frutta e verdura di porta palazzo chiedendo qualcosa
che non possono pagare come la katia livoni delle vallette che
abbandonata con due bimbi cadde in depressione e finì a villa
cristina varie volte e ora attende la pensione avendo fatta la
domanda col suo psichiatra, aiutiamola! io dico, come posso aiutarla?
ma a porta palazzo ci andava a comprare anche virginia con i capelli
biondi e lisci e lunghi e il sorriso aperto e tenero bellissima e
commovente nel piegare la testa di lato come un passerotto, non a
caso la incontrai lì l’ultima volta, un mese prima che sapesse del
suo male, mia amata figlioccia di un tempo, la rividi la volta
davvero ultima nella sua casa e non sorrideva più, cioè aveva
ancora un sorriso ma come tirato ed eterno si dice, a 41 anni. A
PARIS dunque SALVIAMOCI! Mi butto! Ma dove? In senna? E se poi in
acqua all’ultimo mi pento? E cioè come fai a non pentirti quando
piombi in acqua della senna cadendo male non trattandosi di tuffo? So
che mi pentirei di sicuro... in più non nuoto bene ora in acqua
cosiddetta dolce e l’acqua della senna a paris non è di sicuro
dolce, erano dolci le acque dell’orco il torrente della mia
adolescenza a chivasso che ora sono avvelenate. Allora mi butto nelle
sale dei film tiro fuori il mio DE POCHE che è argent DE
POCHE livre de poche mio animo diario mio DE POCHE diventa
il DELIRIO cinema testa cuore budella Per me diventa allora
tutto DE POCHE A PARIS passando di film in film come se il
mondo la douleur si riuscisse a circoscriverli così arginarli
cancellarli di film in film illudendosi con la ronde un giro di
valzer che il tempo della vita il palpito ti arrivi anche attraverso
il guardare i film DE POCHE e allora? ecco un wakamatsu ’70
–dimenticato titolo- alla cinémathéque tra i film X ricorda
yoshida EROS E MASSACRO che è del ‘68 ma lui è di segno diverso,
irradia gioco e una sorta di suprema ironia che è sprezzo delle
regole e volontà di sbeffeggiare andare contro e intanto fa cinema
pieno e bellissimo come mai più e si dovrebbe gridare GUARDATE
GUARDATE, uomini di oggi ciechi e sordi! È il corpo nudo della
ragazza militante la quale continua a ripetere gli slogan della
rivoluzione intanto che nuda viene alternativamente penetrata dai
compagni per darsi reciproco piacere ma senza interferenza alcuna del
sentimento e intanto vivono nascosti per preparare i loro attentati,
e poi di colpo il film si dilata in esterno un paesaggio che ti
sorprende dietro le spalle di uno dei protagonisti in fuga, in certo
qual modo lo guarderà nell’oggi il kurosawa kijoshi che però è
diverso nell’irriverenza, forse perchè essendo il presente così
diverso dai fantasmi del ‘68 che percorsero un certo mondo, non
sono più così sicuro da dire il mondo intero... DE POCHE di
poca tasca io dunque a paris la ronda DE POCHE e PICKPOCKET,
non del sublime bresson di cui però nello stesso cinema a paris c’è
UN CONDANNATO A MORTE E’FUGGITO ma di zhang-ke il cinese di oggi
che per il suo film parte proprio dalla mano che sfila il portafoglio
in tasca altrui e sono sia in bresson che in zhang-ke i giovani a
essere i protagonisti del mondo che è senza parola, basta il gesto,
e ancora PIACERI SCONOSCIUTI di zhang-ke e si canta e cantano nella
miseria di ogni giorno in cina basta la canzone, anche a napoli è
così si vive con la canzone al più alto volume che è non più
l’emigrante ma IL LATITANTE e non c’è più sergio bruni, il
silenzio di bresson è ancora tutto da esplorare è intatto ancora e
al contrario il mondo cinese di zang-ke è tutto invaso dai rumori e
il naufragar m’è dolce in questo mare così rispose qualcuno
tempo fa, DE POCHE...
Accanto a te a paris
in contemporanea c’è anche chi muore di fame e tu non vedi non
vuoi o non puoi oppure gonfia di alcool e pasticche lei attrice di
cinema dieci anni prima il successo (solveig, la protagonista di IL
CIELO SOPRA BERLINO e altro di w.wenders oltre che sua compagna,
specifico io oggi) lei crepa oggi a 45-48 anni povera con la sua
bimba per mano sui trottoirs di soli 7 anni e BASTEREBBE UN PONTE,
A PARIS gonfiarsi e morire per le strade -qui non
sai più di dove vieni- prova a dirti qualcuno ma si fatica a
sentire, L’INONDATION di igor minaev ‘93 con isabelle huppert
dal romanzo del russo zamiatine del ‘29 lui in esilio a paris
dal ‘31 e nel ‘35-‘36 scrive la sceneggiatura dai bassifondi di
gorki per renoir e poi crepa, sconosciuto a paris come fuorucisto e
messo all’indice in russia, e 60 anni dopo, isabelle attrice scopre
il romanzo e vuole il film, il tournage si svolge in russia a
st.pietroburgo e negli studios a mosca con neve artificiale e magari
c’è fuori la neve vera...
A PARIS
omaggio a danièle huillet morta anche lei QUEI LORO INCONTRI nello
stesso cinema dei precedenti Ma perchè l’italia di oggi non onora
abbastanza quest’omaggio a cesare pavese, un regalo a tutti noi e
non solo italiani? pavese che nelle langhe del piemonte cercava chi
sulle alture visse ancora prima degli dei? daniel e jean marie straub
ci richiamano con la loro potenza a quella ricerca ma il mondo non
risponde abbastanza, appare muto o neppure sa.
A PARIS
sandrine bonnaire ELLE S’APPELLE SABINE e herman melville scrisse a
inizio di moby dick CHIAMATEMI ISMAELE sandrine attrice diventa
regista e fa il film della sorella “autistica” sabine, pure lei a
soli 38 anni si è gonfiata tutta non è più la bella ragazza dei
capelli lunghi e scoppia in grido lacerante a rivedere il film del
viaggio con sandrine negli states quando aveva i bei capelli e noi
gridiamo con lei per tutto che non tornerà più, oh sandrine vorrei
io fare tale omaggio d’amore a sorella che non ho mai avuto,
A PARIS jane
birkin pure lei da attrice a regista, BOXES, le scatole delle cose
riposte che occupano la sua casa e che non si riuscirà forse mai a
svuotare (è tutto il provvisorio), è il film di lei che sconcerta e
distrugge l’icona, mette in scena famiglia al completo di tre
figlie e padre e madre di lei e uomini della sua esistenza tra il
continuo ritorno dei morti alla vita, camera verde di henri james e
truffaut ma anche con lo humor irriverente di lei, manca a noi maschi
la generosità delle donne che portano in scena direttamente il
privato e jane ci ha messo dieci anni a fare il suo film, io dovrei
imparare, nessuno le dava ascolto, ora il film parla per lei e va
oltre ingloba pure noi spettatori...
A PARIS (ma ovunque)
le anime vanno alla deriva e il vero ismael è nero di madre
del senegal ama i film di gassman e l’italia dove vorrebbe vivere
ma sa che non ci vivrà mai e in più cantando canzoni di napoli, lui
ama napoli e la sua gente, alla fine chiede i soldi per un autre
verre encore
A PARIS
cinémathèque de la danse marc’O lui faceva teatro con pierre
clementi e bulle ogier, lui la fece conoscere a rivette, TAMAOUT,
‘73, festival di marrakesh e raduno uomini blu di tan tan nel
deserto è film contro la cultura mondialista, un trionfo di colori e
suoni e presenze e ti prende alla gola la nostalgia di quello che
sulla terra tra di noi man mano scompare, non sarà mai più.
A PARIS è il
delirio di quel che pensi e non è, Japon! Japon! io grido ma non ho
voce, nel sentier il quartiere lavora helène armena d’origine ma
nata qui, vive a paris ma si strugge d’amore per la terra armena
che è laggiù, lei parla ma pare a tratti come avesse perso il filo
che la congiungeva a... E chi di noi non perde il filo? Ora mi pare
di averlo perso pure io. Lei fissa lontano... Lost lost lost è
di jonas mekas, lo vedo ma non sono più a paris, non c’entra qui,
io perduto perduto perduto! santa myriam (mezières) esclamo ma lo
scrivo in una sceneggiatura chissà mai se diventerà film, io però
l’ho già visto e fatto il film scrivendo e per me c’è! ma
questa è la follìa del mondo la vita è sogno e del sistema
cinema che distrugge... ma dove la metto la disperazione oltre a
portarla in giro? Ma perchè bisogna vivere? E il cinema cosa è
alla luce del presente che scotta? E questa solitudine? Che dire? E
tutto il resto che ingombra la schiena... io TONINODEBERNARDI così
scrivevo primavera 2006 a paris, ma oggi, autunno 2010 a torino?
Fuori non ci sono neppure uccellini…
n.2
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