lunedì 20 luglio 2015


cerco ancora di mettere le immagini, non ci riesco... io ho bisogno anche di immagini

… e scrivo dalla mia non appartenenza, vorrei chiedere a qualcuno di rendermi pubblico ma non so chi ma non è neppure necessaro. Io che l’amarezza dei giovani e rifiutati ascolto e rispecchio, e non sono nè giovane e neppure sufficientemente all’apparenza rifiutato ma sono fuori, in perpetuo ritardo (forse) e corro con fiato affannoso o forse non è neppure così... tutto il gioco è apparenza. IO pure? Non viviamo tutti nell'apparenza? PREMESSA di oggi, torino martedì 18 set 2012, ma ora segue quello che scrivevo nel 2006 primavera

Io con una pratica di cinema e di vita diversa rispetto a chi fa normalmente cinema, vorrei pur io farmi sentire... non sapendo bene come nè a chi indirizzarmi, già che non ho fiducia, nel caso mio, in chi di dovere assolve i bisogni del cinema. Ma scrivendo dal fondo di me stesso che è rinchiuso nel privato in contrasto a quelli che di questi tempi si riconoscono e uniscono in manifesti che sono pubblici, io scrivo maiuscolo VIVERE NONOSTANTE. Bisogna vivere nonostante. È la cosa che per lo più mi torna come monito dai nostri giorni, appello costante dal fondo del mondo di cui sappiamo solo che è nero e senza nome nel suo mostrarsi duro e ostile con nome. Il faut vivre, nonostante. Non ostante il sentirsi come io mi sento in questo periodo storico, pubblico e privato, di merda. Però, devo dirmi che però... qui fuori nel cortile giardino di queste case borghesi di città sembra un miracolo gli uccelli sull’albero parlano tra loro, tanti, noi umani diciamo che cinguettano felici ma io so ben poco della felicità animale non essendo io ahimé no! hèlas! il san francesco che parlava pure al lupo anche se ci ho provato sui marciapiedi ma invano, niente! non è valso a niente il mio accostarmi ai volatili come francesco il poverello d’assisi e in città si tratta solo più di colombi che scagazzano scappando davanti alle auto che arrivano, Beato fratello sole hélas! qui PARIS giovedì 7-06-07 ore 19, mentre duecento metri oltre echeggiano i gridi le voci alte di chi è rinchiuso nella Santé la prigione, a quest’ora si fan sentire più forti quelli che stanno in galera. Vivendo nonostante, io sono dunque ora costretto a constatare la varietà della vita e del mondo che si sa son fatti di contrasti, non per niente si è parlato di lotta di classe, non riesco a capire quello che si dicono quelle voci gridate le ascoltava anche samuel becket lui è vissuto qui di fianco a paris tutto il resto della vita e ancora un po’ dopo che gli è morta la moglie ed è sepolto nel cimitero qui dietro di montparnasse, non per niente en attendant godot ha avuto la prima in una prigione. Bisogna dunque vivere nonostante la merda che anche puzza, forse l’hanno detto pure altri, forse molti oppure tutti ma qui sta il punto, in quel forse che t’impedisce il sapere se sei solo tu o c’è anche altri o molti o addirittura tutti. LA NON APPARTENENZA. Qui A PARIS io proclamo (ma a chi?) la mia –ripeto- non appartenenza, ma ahimè hélas la proclamo a me stesso e sottovoce che non si oda troppo, disturberebbe e comunque mi prenderebbero per pazzo se la gridassi forte affacciato alla finestra e mi chiuderebbero subito qua dietro che c’è credo si chiami il sant’anna (se non mi confondo con l’ospedale del tasso il torquato) che ha avuto ospiti illustri come antonin artaud c’è ora proprio il viale col suo nome ma anche altri che non ricordo. A PARIS trovi concentrato in poco spazio tutto quello che per te è più illustre e commovente ed è uno dei vantaggi di stare qui che ci ritrovi le ombre di tanti, tutti, dalla dalidà che non canta più ma riposa (così si suol dire) nel cimitero di montmartre e ci passi anche sopra addirittura con la strada a sartre jean paul e de beauvoir in quello appunto di montparnasse mi ci porta il marciapiede e guney il grande regista di yol riposa al père lachaise proprio accanto all’ingresso me l’ha detto osàn l’irriducibile, suo assistente per IL MURO, indicandomelo mentre stavamo seduti al cafè curdo, io qui non grido la mia non-appartenenza al contrario di chi sta alla santè e grida dalle finestre con sbarre a qualcuno che sa che l’ascolta, io qui non ho nessuno che mi ascolti e in più questa casa non ha sbarre, le finestre sono addirittura porte finestre con ringhiera di bella e fidata casa borghese dove comunque entrano i ladri a rubare i computer depositari preziosi dei tuoi segreti. Grido dunque sottovoce, sapendo di non appartenere ormai nè in quanto individuo all’italia come stato e paese nè in quanto cineasta al cinema italiano di oggi ma neppure di ieri, non gli sono mai per scelta e vocazione mia natura appartenuto, avendo sempre avuto una pratica diversa del cinema pur essendo anche arrivato a alcuni momenti di coincidenza apparente con quella comune. Ma poi? Che succede poi dopo che sei arrivato a quel momento di coincidenza? Appartengo però forse a qualcuno. Oltre al VIVERE NON OSTANTE, sono di quelli de l’APPARTENERE INVECE e cioè sento di appartenere come vocazione all’italia dei semplici e poveri (come anna maria ortese scrisse) e dei disgraziati di ovunque e che a torino in specie vanno al mercato di frutta e verdura di porta palazzo chiedendo qualcosa che non possono pagare come la katia livoni delle vallette che abbandonata con due bimbi cadde in depressione e finì a villa cristina varie volte e ora attende la pensione avendo fatta la domanda col suo psichiatra, aiutiamola! io dico, come posso aiutarla? ma a porta palazzo ci andava a comprare anche virginia con i capelli biondi e lisci e lunghi e il sorriso aperto e tenero bellissima e commovente nel piegare la testa di lato come un passerotto, non a caso la incontrai lì l’ultima volta, un mese prima che sapesse del suo male, mia amata figlioccia di un tempo, la rividi la volta davvero ultima nella sua casa e non sorrideva più, cioè aveva ancora un sorriso ma come tirato ed eterno si dice, a 41 anni. A PARIS dunque SALVIAMOCI! Mi butto! Ma dove? In senna? E se poi in acqua all’ultimo mi pento? E cioè come fai a non pentirti quando piombi in acqua della senna cadendo male non trattandosi di tuffo? So che mi pentirei di sicuro... in più non nuoto bene ora in acqua cosiddetta dolce e l’acqua della senna a paris non è di sicuro dolce, erano dolci le acque dell’orco il torrente della mia adolescenza a chivasso che ora sono avvelenate. Allora mi butto nelle sale dei film tiro fuori il mio DE POCHE che è argent DE POCHE livre de poche mio animo diario mio DE POCHE diventa il DELIRIO cinema testa cuore budella Per me diventa allora tutto DE POCHE A PARIS passando di film in film come se il mondo la douleur si riuscisse a circoscriverli così arginarli cancellarli di film in film illudendosi con la ronde un giro di valzer che il tempo della vita il palpito ti arrivi anche attraverso il guardare i film DE POCHE e allora? ecco un wakamatsu ’70 –dimenticato titolo- alla cinémathéque tra i film X ricorda yoshida EROS E MASSACRO che è del ‘68 ma lui è di segno diverso, irradia gioco e una sorta di suprema ironia che è sprezzo delle regole e volontà di sbeffeggiare andare contro e intanto fa cinema pieno e bellissimo come mai più e si dovrebbe gridare GUARDATE GUARDATE, uomini di oggi ciechi e sordi! È il corpo nudo della ragazza militante la quale continua a ripetere gli slogan della rivoluzione intanto che nuda viene alternativamente penetrata dai compagni per darsi reciproco piacere ma senza interferenza alcuna del sentimento e intanto vivono nascosti per preparare i loro attentati, e poi di colpo il film si dilata in esterno un paesaggio che ti sorprende dietro le spalle di uno dei protagonisti in fuga, in certo qual modo lo guarderà nell’oggi il kurosawa kijoshi che però è diverso nell’irriverenza, forse perchè essendo il presente così diverso dai fantasmi del ‘68 che percorsero un certo mondo, non sono più così sicuro da dire il mondo intero... DE POCHE di poca tasca io dunque a paris la ronda DE POCHE e PICKPOCKET, non del sublime bresson di cui però nello stesso cinema a paris c’è UN CONDANNATO A MORTE E’FUGGITO ma di zhang-ke il cinese di oggi che per il suo film parte proprio dalla mano che sfila il portafoglio in tasca altrui e sono sia in bresson che in zhang-ke i giovani a essere i protagonisti del mondo che è senza parola, basta il gesto, e ancora PIACERI SCONOSCIUTI di zhang-ke e si canta e cantano nella miseria di ogni giorno in cina basta la canzone, anche a napoli è così si vive con la canzone al più alto volume che è non più l’emigrante ma IL LATITANTE e non c’è più sergio bruni, il silenzio di bresson è ancora tutto da esplorare è intatto ancora e al contrario il mondo cinese di zang-ke è tutto invaso dai rumori e il naufragar m’è dolce in questo mare così rispose qualcuno tempo fa, DE POCHE...
Accanto a te a paris in contemporanea c’è anche chi muore di fame e tu non vedi non vuoi o non puoi oppure gonfia di alcool e pasticche lei attrice di cinema dieci anni prima il successo (solveig, la protagonista di IL CIELO SOPRA BERLINO e altro di w.wenders oltre che sua compagna, specifico io oggi) lei crepa oggi a 45-48 anni povera con la sua bimba per mano sui trottoirs di soli 7 anni e BASTEREBBE UN PONTE, A PARIS gonfiarsi e morire per le strade -qui non sai più di dove vieni- prova a dirti qualcuno ma si fatica a sentire, L’INONDATION di igor minaev ‘93 con isabelle huppert dal romanzo del russo zamiatine del ‘29 lui in esilio a paris dal ‘31 e nel ‘35-‘36 scrive la sceneggiatura dai bassifondi di gorki per renoir e poi crepa, sconosciuto a paris come fuorucisto e messo all’indice in russia, e 60 anni dopo, isabelle attrice scopre il romanzo e vuole il film, il tournage si svolge in russia a st.pietroburgo e negli studios a mosca con neve artificiale e magari c’è fuori la neve vera...
A PARIS omaggio a danièle huillet morta anche lei QUEI LORO INCONTRI nello stesso cinema dei precedenti Ma perchè l’italia di oggi non onora abbastanza quest’omaggio a cesare pavese, un regalo a tutti noi e non solo italiani? pavese che nelle langhe del piemonte cercava chi sulle alture visse ancora prima degli dei? daniel e jean marie straub ci richiamano con la loro potenza a quella ricerca ma il mondo non risponde abbastanza, appare muto o neppure sa.
A PARIS sandrine bonnaire ELLE S’APPELLE SABINE e herman melville scrisse a inizio di moby dick CHIAMATEMI ISMAELE sandrine attrice diventa regista e fa il film della sorella “autistica” sabine, pure lei a soli 38 anni si è gonfiata tutta non è più la bella ragazza dei capelli lunghi e scoppia in grido lacerante a rivedere il film del viaggio con sandrine negli states quando aveva i bei capelli e noi gridiamo con lei per tutto che non tornerà più, oh sandrine vorrei io fare tale omaggio d’amore a sorella che non ho mai avuto,
A PARIS jane birkin pure lei da attrice a regista, BOXES, le scatole delle cose riposte che occupano la sua casa e che non si riuscirà forse mai a svuotare (è tutto il provvisorio), è il film di lei che sconcerta e distrugge l’icona, mette in scena famiglia al completo di tre figlie e padre e madre di lei e uomini della sua esistenza tra il continuo ritorno dei morti alla vita, camera verde di henri james e truffaut ma anche con lo humor irriverente di lei, manca a noi maschi la generosità delle donne che portano in scena direttamente il privato e jane ci ha messo dieci anni a fare il suo film, io dovrei imparare, nessuno le dava ascolto, ora il film parla per lei e va oltre ingloba pure noi spettatori...
A PARIS (ma ovunque) le anime vanno alla deriva e il vero ismael è nero di madre del senegal ama i film di gassman e l’italia dove vorrebbe vivere ma sa che non ci vivrà mai e in più cantando canzoni di napoli, lui ama napoli e la sua gente, alla fine chiede i soldi per un autre verre encore
A PARIS cinémathèque de la danse marc’O lui faceva teatro con pierre clementi e bulle ogier, lui la fece conoscere a rivette, TAMAOUT, ‘73, festival di marrakesh e raduno uomini blu di tan tan nel deserto è film contro la cultura mondialista, un trionfo di colori e suoni e presenze e ti prende alla gola la nostalgia di quello che sulla terra tra di noi man mano scompare, non sarà mai più.
A PARIS è il delirio di quel che pensi e non è, Japon! Japon! io grido ma non ho voce, nel sentier il quartiere lavora helène armena d’origine ma nata qui, vive a paris ma si strugge d’amore per la terra armena che è laggiù, lei parla ma pare a tratti come avesse perso il filo che la congiungeva a... E chi di noi non perde il filo? Ora mi pare di averlo perso pure io. Lei fissa lontano... Lost lost lost è di jonas mekas, lo vedo ma non sono più a paris, non c’entra qui, io perduto perduto perduto! santa myriam (mezières) esclamo ma lo scrivo in una sceneggiatura chissà mai se diventerà film, io però l’ho già visto e fatto il film scrivendo e per me c’è! ma questa è la follìa del mondo la vita è sogno e del sistema cinema che distrugge... ma dove la metto la disperazione oltre a portarla in giro? Ma perchè bisogna vivere? E il cinema cosa è alla luce del presente che scotta? E questa solitudine? Che dire? E tutto il resto che ingombra la schiena... io TONINODEBERNARDI così scrivevo primavera 2006 a paris, ma oggi, autunno 2010 a torino? Fuori non ci sono neppure uccellini…

n.2

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