mercoledì 5 agosto 2015

Tolstoj RESURREZIONE continua e sarà un giorno film dopo Napoli Paris Torino Berlin Casalborgone... via via io filmo e via via la vita e Tolstoj gli ultimi 15 anni precorse...

«Che volete?», disse, accennando a soffermarsi.
«Nulla, soltanto ...» E, facendo forza a se stesso e richiamandosi alla mente il modo in cui in genere agiscono tutti in situazioni simili, abbracciò Katjusa per la vita.
Lei si fermò, e lo guardò negli occhi. «Non sta bene, Dmitrij Ivanovié, non sta bene», mormorò, arrossendo fino alle lacrime; e con quella sua ruvida, forte mano, scansò il braccio
che la teneva avvinta. Nechljudov la lasciò, e sentì, per un attimo, non solo un impaccio, una vergogna, ma uno schifo di se stesso. Avrebbe dovuto credere a se stesso: ma non aveva capito, allora, che quell'impaccio e quella vergogna erano i
sentimenti più buoni della sua anima, che chiedevano di venire alla luce; al contrario, gli era parso che fosse la stupidità a parlare in lui così, e che bisognasse fare ciò che tutti fanno. La rincorse un'altra volta, tornò ad abbracciarla, e la baciò sul collo. E questo bacio fu del tutto diverso da quei primi due baci: da quello, inconsapevole, dietro ai cespugli di lillà, e dall'altro della mattina alla chiesa. In questo, c'era qualcosa di tremendo: e lei n'ebbe il senso. «Ma che fate?», proruppe con una voce, come se, irreparabilmente, lui avesse infranto un oggetto immensamente prezioso; e fuggì via di corsa. Lui entrò in sala da pranzo. Le zie in abito di gala, il dottore e la proprietaria confinante, stavano ritti intorno al tavolo degli antipasti. Tutto era talmente usuale, ma nell'anima di Nechljudov c'era una tempesta. Non riusciva a intendere nulla di quanto gli dicevano, rispondeva a sproposito,e non faceva che pensare a Katjusa, riandando di continuo alla
sensazione dell'ultimo bacio che le aveva dato, quando l'aveva raggiunta...
anche lei venne nella stanza, senza guardarla, con tutto l'essere la sentì presente, e dovette fare uno sforzo su se stesso per non posare gli occhisu lei. Terminato il pranzo, subito si ritirò in camera, e là, in preda a una grande agitazione, a lungo continuò a camminare innanzi e indietro, tendendo l'orecchio ai rumori della casa e aspettando sempre quel passo. L'individuo animale che viveva in lui, non solo aveva ormai alzato la testa, ma s'era messo sotto i piedi quell'individuo spirituale, che aveva costituito il suo essere durante il primo soggiorno qui, e fino a quella mattina in chiesa: e, ormai, questo tremendo individuo animale era il solo
dominatore della sua coscienza. Sebbene senza tregua si tenesse all'agguato di lei, non venne a capo neppure una volta, per tutta quella giornata, d'incontrarla da solo a sola. Probabilmente, lei lo sfuggiva. Ma, verso sera, accadde che si trovasse costretta a entrare in una camera attigua a
quella occupata da lui. Il dottore si fermava a pernottare, e Katjusa doveva preparare il letto per l'ospite. Udendo quel passo, Nechljudov, camminando leggero e rattenendo il respiro - come se s'accingesse a compiere un delitto - entrò da lei.
Con le due mani infilate nella federa pulita, a sorreggere il cuscino per le estremità, lei si voltò a guardarlo, e gli fece un sorriso; ma non era quel lieto, esultante sorriso d'un tempo: era un sorriso spaventato, penoso. Fu come se a lui quel sorriso dicesse che ciò che stava facendo era male. Un momento, restò fermo. Ci sarebbe stata ancora, a questo punto, la possibilità di lottare. Fievole, sì, ma percettibile pur sempre era la voce del suo                (pag.63)

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